Gli effetti della finanziarizzazione nelle città europee: come cambia l’abitare

Il processo di finanziarizzazione delle città

Negli ultimi anni, le città sono diventate sempre più attrattive non solo per nuovi abitanti, turisti o studenti, ma soprattutto per grandi capitali finanziari. Questo cambiamento si iscrive in un processo più ampio definito finanziarizzazione, che indica l’influenza crescente di logiche e attori finanziari nei meccanismi economici, sociali e spaziali. Le città non sono più solo luoghi da abitare o vivere, ma asset su cui investire, fonti di profitto e rendita. 

In questo contesto, la casa stessa ha assunto un ruolo chiave, desiderabile per la sua stabilità, il valore relativamente sicuro nel tempo e la capacità di produrre rendimenti costanti. Il settore abitativo è stato quindi integrato nei circuiti globali del capitale: la casa oggi non è solo un luogo da abitare, ma un oggetto di valorizzazione economica. 

La finanziarizzazione dello sviluppo urbano, tuttavia, non si manifesta in modo uniforme né neutro. Si tratta di un fenomeno territorialmente specifico, che assume caratteristiche diverse in relazione ai contesti locali, agli assetti istituzionali, agli strumenti di pianificazione e alle dinamiche tra attori pubblici e privati. 

Finanziarizzazione e abitare

Il territorio diventa così il punto di ancoraggio del capitale, il luogo dove esso si insedia, si traduce in forme materiali e si valorizza economicamente. Ma gli effetti di questo processo sono tutt’altro che equamente distribuiti: mentre pochi ne traggono vantaggio, per molti si accentuano le difficoltà di accesso alla città, e in particolare all’abitare.

Il mercato immobiliare rappresenta il principale canale attraverso cui il capitale finanziario entra nella città. Le trasformazioni che ne derivano non riguardano unicamente la costruzione o la compravendita di immobili, ma coinvolgono in modo profondo il modo in cui lo spazio urbano viene progettato, gestito e abitato. 

Gli immobili non sono più considerati prevalentemente per il loro valore d’uso (cioè per la funzione abitativa o sociale che svolgono), bensì per il loro valore di scambio: quanto rendono, quanto valgono sul mercato, quanto possono attrarre investitori. 

Questa logica si manifesta in diversi segmenti del mercato: i grandi progetti di rigenerazione urbana, sostenuti da capitali privati e spesso dalle amministrazioni, possono generare gentrificazione e aumento dei costi abitativi; le locazioni turistiche, potenziate dalle piattaforme digitali, trasformano i quartieri in luoghi di transito, sottraendo alloggi alla residenza permanente; infine, le nicchie abitative emergenti, come i co-living, gli studentati privati ed i modelli built-to-rent (costruire per affittare), offrono soluzioni abitative temporanee, spesso rivolte a target specifici, con canoni elevati e logiche orientate alla rendita.

Gli effetti della finanziarizzazione sulla locazione

È proprio nel mercato delle locazioni, infatti, che l’impatto della finanziarizzazione risulta più evidente. Se, in passato, l’affitto rappresentava una modalità flessibile e accessibile per vivere in città, oggi, soprattutto nei contesti dove l’offerta pubblica è carente e il mercato privato è incapace di rispondere alla domanda, l’affitto è sempre più oggetto di interesse per investitori internazionali

Attraverso modelli come il social housing gestito da privati, i co-living, gli studentati, si costruisce un’offerta standardizzata e centralizzata, con servizi integrati, rivolta a chi ha elevata capacità di spesa. L’obiettivo non è più, quindi, fornire una casa, ma massimizzare i profitti: affitti alti, elevato ricambio degli inquilini, riduzione del rischio di morosità. 

Questo modello, già consolidato in paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Germania, si sta diffondendo anche in contesti dove era stato finora meno visibile. Uno dei casi emblematici è Bruxelles, dove la finanziarizzazione immobiliare si concentra su segmenti di nicchia considerati ad alta redditività e bassa regolazione. 

Un fenomeno simile si osserva anche in Italia, dove numerosi operatori stanno puntando su mercati “secondari” caratterizzati da domanda crescente e scarsa concorrenza. La geografia degli investimenti varia in base ai territori: nelle città universitarie, come Bologna, prevalgono gli studentati privati; nelle aree turistiche, la valorizzazione dei centri storici, degli eventi e del patrimonio culturale alimenta l’espansione delle locazioni brevi; nei poli economici in forte crescita, si diffondono soluzioni temporanee per giovani professionisti, come il co-living. 

Le conseguenze sono evidenti: aumento dei prezzi, omologazione dell’offerta abitativa, esclusione delle fasce più vulnerabili e rottura del legame tra abitazione e comunità. In molte città, la figura del piccolo locatore lascia spazio a grandi gestori professionisti, la casa smette di essere uno spazio di vita e diventa uno strumento di profitto.

Conclusioni

Lo scenario attuale impone una riflessione profonda sul futuro delle città e sul significato stesso dell’abitare. 

In un contesto urbano sempre più attrattivo per il capitale finanziario, diventa evidente la necessità di rafforzare il ruolo delle politiche pubbliche, affinché non si limitino ad accompagnare le logiche di mercato, ma contribuiscano attivamente a tutelare l’accessibilità dell’abitare. 

Ripensare la casa come infrastruttura sociale, e non come mera merce, è un passaggio essenziale per affrontare le sfide attuali. Il territorio, infatti, non può essere considerato solo come sfondo delle trasformazioni economiche, ma va riconosciuto come uno spazio dinamico in cui si definiscono le condizioni per un abitare più giusto e inclusivo.

Per approfondire il tema della finanziarizzazione dell’abitare si rimanda ai lavori di Manuel B. Aalbers; Max Oxenaar, Veronica Conte e Manuel B. Aalbers; Veronica Conte e Mattia Fiore.

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