Il 15 ottobre, presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, si è tenuto l’incontro “Città in affitto” nell’ambito delle iniziative U.F.O. (Università Fuori Orario).
Durante l’evento, il collettivo di giornalisti d’inchiesta Gessi White, autore del libro “Città in affitto – Un requiem per il diritto all’abitare”, ha presentato il recente lavoro dedicato alla crisi abitativa in Italia, con un focus sulle città di Bologna, Roma e Milano. Il volume offre una fotografia lucida della crisi abitativa nel nostro Paese, intrecciando le storie di singoli cittadini e di speculatori internazionali.
All’incontro hanno partecipato Federico Condello (delegato per studentesse e studenti dell’Università di Bologna), i giornalisti Alice Facchini, Lorenzo Bagnoli, Maurizio Franco e Emily Marion Clancy, Vicesindaca di Bologna.
Insieme, hanno discusso le esperienze dei rispettivi territori, riflettendo sull’evoluzione delle politiche abitative e su come la loro assenza abbia favorito lo sviluppo del settore privato. Quest’ultimo, pur assumendo forme diverse a seconda dei contesti – fondi di investimento, società di gestione del risparmio, grandi imprese edili, piattaforme di booking – ha contribuito a creare un ambiente escludente e poco abbordabile per chi abita i territori, privilegiando invece altre categorie di “consumatori” della città, come i turisti.
Espulsione delle fasce deboli dai centri urbani
Uno dei temi più ricorrenti emersi nel dibattito è stato quello dell’espulsione progressiva delle fasce di popolazione a reddito medio-basso dai centri urbani, tra cui quella costituita da studenti e studentesse universitari/e.
A Bologna, studenti e studentesse hanno sempre rappresentato una componente strutturale e identitaria della città, ma la loro presenza è oggi messa a rischio dall’aumento dei costi abitativi e dalla crescente competizione con altre forme di domanda, in particolare quella turistica.
Un fenomeno analogo è stato osservato a Roma, dove l’espansione degli affitti brevi e la conversione degli alloggi in strutture per turisti sono state amplificate da grandi eventi, da ultimo il Giubileo del 2025.
In questo quadro, l’interesse dei proprietari si è progressivamente orientato verso un’utenza temporanea, considerata più redditizia e sicura, mentre la pianificazione urbana ha mostrato difficoltà nel garantire soluzioni efficaci per residenti e studenti.
Crisi abitativa e popolazione studentesca a Bologna
Nel caso di Bologna, la crisi abitativa legata alla popolazione studentesca è emersa come un tema antico e strutturale. Fin dalle origini dell’Alma Mater, nel 1088, la città si è trovata a confrontarsi con la questione del diritto all’abitare per gli studenti.
In questa prospettiva, i moderni studentati privati che oggi si moltiplicano in città sembrano riprodurre, in chiave contemporanea, la logica dei collegi di merito, nati un tempo grazie a fondi pubblici e al sostegno della Chiesa. Come allora, anche oggi la gestione tende a spostarsi verso soggetti privati orientati al profitto, tanto che la distinzione tra studentato e struttura ricettiva appare sempre più sfumata.
Questa dinamica di progressiva privatizzazione dell’abitare studentesco, insieme alla limitata efficacia dei fondi del PNRR, è stata interpretata come un segnale del più ampio arretramento delle politiche pubbliche per la casa, di cui il caso di Roma offre un’altra testimonianza significativa.
La massiccia dismissione del patrimonio residenziale pubblico ha infatti determinato, nel tempo, un numero crescente di sfratti e un progressivo deterioramento degli immobili rimasti in gestione pubblica.
Il patrimonio sfitto
Tra i temi emersi, quello delle case sfitte ha assunto un ruolo centrale, rivelando le contraddizioni di un mercato immobiliare in cui la scarsità di alloggi accessibili convive con un vasto patrimonio inutilizzato.
A Bologna, la Fondazione Abitare è stata citata come un tentativo di risposta pubblica a questa situazione, volto a mobilitare parte degli alloggi vuoti presenti in città attraverso incentivi alla ristrutturazione e alla locazione a canone concordato. Tuttavia, come ha ricordato la Vicesindaca Emily Clancy, rimane aperta la questione della sostenibilità di tali politiche nel lungo periodo, in assenza di un intervento strutturale e coordinato a livello nazionale.
La locazione breve
Un’altra dinamica emersa nel racconto di tutte le città è la diffusione degli affitti brevi, simbolo della crescente speculazione immobiliare che ha contribuito ad alimentare processi di esclusione e gentrificazione.
Le testimonianze provenienti dalle periferie mostrano come i progetti di rigenerazione urbana, spesso guidati da logiche di valorizzazione economica, abbiano finito per tradursi in processi di sostituzione sociale, espellendo progressivamente le popolazioni più fragili.
Tuttavia, accanto a questi fenomeni, si sono affermate anche pratiche di resistenza e di riappropriazione dal basso. Le occupazioni, pur nella loro complessità, sono state interpretate come esperimenti di nuovi modi di abitare e di costruire socialità. A Bologna, un’esperienza come Carracci Casa Comune ha mostrato come questi percorsi possano aprire canali di dialogo con le istituzioni, mentre a Roma uno spazio come il Forte Prenestino continua a rappresentare un simbolo di opposizione e di sperimentazione sociale.
Investimenti e internazionalizzazione
Infine, Milano è emersa come il caso più emblematico della trasformazione della casa da bene d’uso a bene d’investimento, una dinamica ormai diffusa in molti contesti urbani. L’ingresso di investitori, spesso stranieri e difficilmente tracciabili, ha progressivamente ridisegnato la geografia sociale della città, orientandola verso una popolazione più ricca, mobile e temporanea.
La tendenza all’internazionalizzazione, visibile anche a Bologna con la crescita degli studenti provenienti dall’estero, delinea un modello urbano sempre più selettivo e diseguale, in cui l’abitare smette di essere un diritto collettivo diventando un privilegio riservato a pochi.
Conclusioni
Il libro “Città in affitto” e la discussione che ne è seguita hanno messo in luce le profonde criticità del sistema abitativo delle città italiane, evidenziando la necessità di una pianificazione pubblica oggi sempre più marginale.
Lo spazio lasciato vuoto dal settore pubblico è stato progressivamente occupato da attori privati che, attraverso l’urbanistica, hanno ridisegnato le città secondo logiche di mercato e interesse finanziario.
Quello che manca, invece, è un progetto condiviso di sviluppo urbano che risponda ai bisogni collettivi e che contrasti l’aumento delle disuguaglianze sociali e spaziali. Per questo, servirebbero strumenti capaci di promuovere un abitare sostenibile, equo e accessibile, orientato al benessere di tutti i cittadini, e non solo di chi può permettersi di restare.
Leggi la news “Abitare da fuorisede: un’indagine tra studenti e studentesse dell’Alma Mater“